Quando si parla di digiuno ci sono due tipi di persone: quelle che se lo immaginano come un’ottima strategia per perdere peso, rimanere in forma e stare bene; e quelle che se lo immaginano come una tortura autoinflitta per protestare in prigione, rischiando la morte.
Bhe, non è questo, o almeno non solo questo.
Dietro al digiuno, e al digiuno intermittente, c’è tanto da dire, tanto che è stato detto e tanto che non è stato capito, ma poi, per fortuna, c’è la scienza!
Oggi parliamo di intermittent fasting, una pratica che è andata di moda anni fa e ancora gira anche tra le celebrità, incluso Chris Pratt, l’uomo che sussurra ai velociraptor.
Questa pratica consiste nel digiunare diverse ore al giorno e mangiare invece in un arco di tempo ridotto. Ad esempio nella pratica 16:8 la fase di digiuno dura 16 ore, mentre per 8 ore si può mangiare quanto si vuole. Oppure un’altra opzione consiste nell’avere solo un pasto al giorno e digiunare per il resto del tempo.
Chi segue questa dieta spesso riporta una rapida perdita di peso con vari effetti benefici, come disintossicazione (da non-meglio-identificate tossine), piú energia, molto autocontrollo sull’appetito ed effetti positivi sull’umore.
Ma i dati scientifici non aiutano i fan dell’intermitting fasting. Anzi, alcuni suggeriscono che questa pratica puó addirittura portare alla morte [1]! (Tan tan taaaan!)
Cerchiamo di vedere insieme ora come funziona il digiuno intermittente e quanto aiuta o peggiora la nostra salute.
Prima domanda: il digiuno intermittente fa davvero bruciare i grassi?
Questo può essere facilmente misurato con una macchina speciale che misura quanti grassi il nostro corpo brucia al minuto analizzando il nostro respiro. Quando bruciamo i grassi infatti, utilizziamo ossigeno e produciamo anidride carbonica. Quindi, più CO2 viene emessa, più grassi stiamo consumando.
In alcuni studi che utilizzano questa tecnica, si vede come il consumo di grassi dopo 24 ore di digiuno aumenta circa del 20% [2].
Quindi sì, è vero: la dieta del digiuno intermittente fa bruciare i grassi. In media, dopo alcuni mesi, si possono perdere da 3 a 7 kg [3].
Ma dov’è il trucco?
Seconda domanda: come mai perdiamo peso con il digiuno intermittente?
La perdita di peso dipende da tantissimi fattori: la dieta, le abitudini, lo stile di vita (sedentario o meno), la dieta, l’attivitá fisica; ho già detto la dieta?
Ecco, quello che si mangia fa molta differenza nei risultati dell’intermitting fasting. Per esempio immaginiamo di fare il digiuno intermittente 16:8. Cosa mangeremo nelle 8 ore di libertà? Pasta al forno con salsiccia, bistecca con patate arrosto rosolate nel lardo di colonnata, contorno di burrata e come dolce gelato fritto e pastiera? Fame, eh?
Forse, il segreto del successo del digiuno intermittente è che, quando si inizia, non si mangiano piú le stesse quantità di cibo a cui si era abituati prima.
Quindi, per farla semplice: perdiamo peso perché mangiamo meno [4,5].
Uno studio, condotto dai ricercatori dell’Universitá dell’Alabama, ci aiuta a rispondere a questa domanda. In questo caso abbiamo due gruppi di persone: il gruppo A che digiuna e il gruppo B che mangia normalmente. Ma per 5 settimane sia A che B devono mangiare le stesse calorie; l’unica differenza è che i partecipanti nel gruppo A devono mangiarle in 8 ore e digiunare per le altre 16 [5]. Risultato: nessuno ha perso peso, né nel gruppo A né nel gruppo B. Conclusione: no, il digiuno di 16 ore non fa miracolsamente dimagrire [6,7,8].
Terza domanda: il digiuno puó allungare la vita?
Sono in molti a sostenere l’idea che il digiuno intermittente, o anche quello fatto in maniera prolungata, siano l’elisir di lunga vita che tutti aspettavano.
Ma in realtà non è proprio cosí. In questo caso è la scienza stessa a smentirsi da sola.
Qui il protagonista in azione è l’autofagia, ovvero il processo in cui le cellule del nostro corpo iniziano a mangiare se stesse per eliminare le parti difettose e contemporaneamente usarle per produrre nuove risorse [8,9]. Provate ad immaginare le cellule come degli inceneritori green che decidono di riutilizzare i materiali di scarto o vecchi per produrre energia invece che accumulare spazzatura.
Molti studi hanno dimostrato come il digiuno aumenti l’autofagia, “pulendo” cosí il nostro organismo. Questa sembra un’ottima notizia che sembra strizzare l’occhio ai sostenitori dell’effetto disintossicante del digiuno. Ma (un grande MA) qui troviamo l’inghippo. Tutti questi studi sono stati eseguiti su vermi (Caenorhabditis elegans), moscerini (Drosophila melanogaster) e topi (Mus musculus). In questi casi è stato osservato anche come un determinato gene, collegato all’autofagia, viene espresso maggiormente e funziona di piú in stato di digiuno. Ma il modo per accertare i risultati è sacrificare l’animale e studiare i tessuti. Va da sé che non può essere fatta la stessa cosa sull’uomo e quindi non ci sono dati che contemplano l’effetto del digiuno sull’autofagia sull’uomo.
E la stessa identica cosa vale per gli studi sull’effetto del digiuno sull’aspettativa di vita: non sappiamo né possiamo sapere ad oggi se questa dieta ci farà vivere piú a lungo [11,12,13].
Domanda finale: Digiuno sì, o digiuno no?
Non è possibile trarre conclusioni certe ad oggi perché ancora la ricerca sta esplorando il mondo dell’alimentazione. Ma alcune cose si sanno e sono state confermate in molti studi. Il corpo umano si è evoluto nel corso dei millenni per sopportare molte avversità, tra cui quella della fame e della carestia.
Il mondo civilizzato come lo conosciamo oggi è molto recente relativamente alla storia dell’uomo. Per questo il nostro organismo si è adattato in modo da sopravvivere agli eventi meno rari. Noi non siamo ancora evoluti alla sovralimentazione, per questo sono sempre piú comuni le malattie e disabilità dovute a obesità e diabete. Al contrario, siamo molto adatti a combattere la fame. Quando siamo affamati, si attivano delle particolari risposte endogene atte a sopravvivere: gli ormoni come la grelina entrano in circolo e scatenano una serie di reazioni a livello cerebrale che cambiano il nostro stato fisiologico. Aumenta l’attività di alcuni organi e il nostro cervello usa tutte le energie per cercare cibo, per esempio anche la vista cambia. Quando i nostri antenati si trovavano ad affrontare una carestia (chiamiamolo digiuno non-intermittente involontario) dovevano in qualche modo resistere, e il loro fisico si era adattato a trovare risorse altrove (vedi l’autofagia) a diminuire l’energia sprecata in altre attivitá, a accumulare i grassi per poterli poi usare come risorse, a bruciare le proteine in mancanza di zuccheri e cosí via [14,15,16].
Dall’altro lato invece, non siamo adatti a salvaguardarci da una situazione in cui gestiamo troppe calorie. Per esempio non abbiamo un efficiente sistema di rimozione del colesterolo, che sappiamo essere una delle cause principali dei problemi coronarici; perdere il grasso omentale (beer belly) è difficilissimo; non abbiamo nessun meccanismo di difesa endogeno contro l’obesitá.
Considerando questo fattore evolutivo, diventa molto chiaro perché il digiuno ha degli effetti positivi sul corpo: quello che facciamo in realtà è tornare ad una nutrizione minimale e non ingerire troppo calorie, grassi e zuccheri.
Inoltre il digiuno non è una pratica priva di rischi. La possibilità di perdere troppo peso, sentirsi stanchi e disorientati e non avere energie, è molto alta e da non sottovalutare. Senza abbastanza energie e zuccheri, il nostro cervello entra in una sorta di “low energy mode” e alcune attività potrebbero essere piú rischiose, come guidare ad esempio.
Un altro rischio è la formazione di calcoli alla cistifellea, molto molto dolorosi, che possono anche portare alla rimozione dell’organo [17] .
In conclusione, non conta per quante ore mangiate e digiunate al giorno, ma conta invece la qualità e l’apporto calorico della vostra dieta. Invece che chiamarlo digiuno potremmo semplicemente chiamarla dieta sana e minimale.
Una nota positiva sul digiuno però va aggiunta: forse aiuta a combattere il cancro.
In uno studio del professor Valter Longo dell’Universitá della California è stato dimostrato come il digiuno indebolisca le cellule tumorali rendendo le altre terapie (come la chemioterapia) più efficaci. Questo succede perché le cellule tumorali sono cellule speciali che crescono molto velocemente e per farlo hanno bisogno di tanti zuccheri. Grazie al digiuno, gli zuccheri disponibili diminuiscono e l’ambiente nel quale queste cellule sguazzano prima, cambia e diventa inospitale; quanto basta ad indebolire il tumore.
Valter Longo ha studiato questo effetto nei topi che, dopo questi trattamenti, hanno sconfitto il tumore con successo [18].
Ma ora questi studi si sono estesi all’uomo e i risultati sono molto promettenti [19,20].
Questa ricerca è ancora in corso e non ci sono abbastanza dati certi per dire che il digiuno aiuta a curare il cancro, ma ci sono buone prospettive e molte speranze.
References:
[2] E’ stato visto come il ciclo del glicerolo aumenta tra le 18 e le 24 ore di digiuno fino a 3 volte in piu dopo 3 giorni di digiuno paragonato a solo una notte (8 ore) di digiuno.https://www.semanticscholar.org/paper/Adaptive-reciprocity-of-lipid-and-glucose-in-human-Soeters-Soeters/547958d6729fbcee77a305757a1717844a995fa8?p2df]
[3]https://onlinelibrary.wiley.com/doi/full/10.1002/oby.23614
[4] https://www.annualreviews.org/content/journals/10.1146/annurev-nutr-071816-064634
[6] https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/35194176/
[7]https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/35194176/
[9]https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC2990190/
[10]https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC8488577/
[11] https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC3652890/
[13] https://link.springer.com/chapter/10.1007/978-3-319-42118-6_12
[16]https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC6412136/
[17]https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC6412136/
[18]https://www.pnas.org/doi/10.1073/pnas.0708100105
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