Risale al 17 maggio la notizia del primo paziente che ha potuto porre fine alla sua vita avvalendosi della legge sul suicidio assistito della regione Toscana [1], un passo importante per quanto riguarda il diritto di scelta sul fine vita in Italia. I casi in cui è possibile avvalersi di tale pratica in Italia sono ancora pochi e come vedremo non sono il risultato di una legge del Parlamento, cosa che ancora manca. Siamo ancora abbastanza lontani da una piena realizzazione del diritto di scegliere su come porre fine alla propria vita, ma sono stati fatti importanti passi in avanti negli ultimi anni. Il diritto di scelta sul fine vita si articola in diverse situazioni molto diverse tra loro e con differenti basi giuridiche. E’ utile fare un recap di quali sono queste situazioni e come siamo messi in Italia a riguardo.
Le situazioni in cui si può articolare il diritto di scelta sono 3: le Disposizioni Anticipate di Trattamento (le DAT), il suicidio assistito e l’eutanasia.
Secondo l’art 32 della Costituzione Italiana nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario, se non in forza di una legge [2]. Tale legge non deve inoltre violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana. In espressione di tale principio costituzionale, che sancisce il diritto a scegliere a quali trattamenti sanitari venire sottoposti, il legislatore ha previsto le disposizioni anticipate di trattamento.
Le DAT sono regolate dalla legge 219/2017 [3] e consistono nel determinare in anticipo a quali trattamenti sanitari si vuole essere sottoposti nel caso in cui ci si ritrovi in una situazione in cui non è più possibile prendere una decisione. Per poterlo fare occorre essere maggiorenni e capaci di intendere e di volere. Dopo aver acquisito adeguate informazioni sulle conseguenze delle proprie scelte, è possibile esprimere in anticipo le proprie volontà in merito ai trattamenti sanitari, il consenso o il rifiuto in merito ad accertamenti diagnostici o scelte terapeutiche e a singoli trattamenti sanitari. E’ possibile se lo si desidera nominare un fiduciario, a cui verrà rilasciata una copia delle DAT, e che avrà il compito di relazionarsi con i medici rappresentando il paziente, curando l’applicazione della DAT. Le volontà del paziente verranno inserite in una banca dati.
Le DAT possono essere disattese dal medico se palesemente incongrue, non compatibili con le condizioni cliniche del paziente o in presenza di terapie di cui non era possibile prevedere l’esistenza ai tempi della dichiarazione.
Il suicidio assistito consiste invece nel fornire al paziente aiuto affinché possa auto somministrarsi un farmaco per porre fine alla propria vita. L’aiuto del medico in questo caso si concretizza solo nelle fasi propedeutiche all’assunzione del farmaco, non nell’atto in sè. Il suicidio assistito esiste in Italia, in casi ristretti, grazie ad una sentenza della Corte Costituzionale: la 242 del 2019[4]. La sentenza della Corte (che è poi tornata sull’argomento più di recente con la sentenza 135/2024[5] e con la sentenza 66/2025[6]) ha introdotto il suicidio assistito dichiriando l’illegittimità costituzionale di parte dell’art 580 del codice penale (istigazione o aiuto al suicidio) In pratica, affinché si possa configurare il diritto devono ricorrere 4 condizioni:
- il paziente deve essere affetto da una patologia irreversibile
- il paziente deve essere tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale
- Il paziente deve soffrire fisicamente e/o psicologicamente in un modo che egli ritiene intollerabile
- Deve essere in grado di prendere decisioni libere e consapevoli.
Relativamente al secondo punto, la Corte Costituzionale con la sentenza 135 del 2024 è intervenuta per specificare ulteriormente cosa si debba intendere per “supporto vitale”. Nella definizione vanno comprese quelle procedure normalmente praticate da personale sanitario, che richiedono quindi per essere attuate un certo livello di competenze professionali, che possono però essere apprese anche da familiari e caregivers. Per esempio possiamo menzionare l’evacuazione manuale dell’intestino del paziente, l’inserimento di cateteri urinari e l’aspirazione del muco dalle vie bronchiali. Queste pratiche devono essere assimilate alle più invasive modalità di alimentazione e ventilazione forzata, senza che la sussistenza del requisito possa essere messo in discussione.
Con la sentenza 66 del 2025 la Corte Costituzionale si esprime nuovamente sul tema. In questo caso la Corte si è trovata a dover decidere su una questione di legittimità costituzionale sollevata dal giudice che avrebbe dovuto decidere sull’archiviazione richiesta dal PM per Marco Cappato, il quale accompagnò in Svizzera due persone affinché potessero avvalersi del suicidio assistito. In questo caso l’argomento del contendere consisteva nel decidere sulla legittimità costituzionale di un’altra parte del’art 580 del codice penale (aiuto o istigazione al suicidio). In questa sentenza la Corte ribadisce la legittimità costituzionale del requisito dei trattamenti di sostegno vitale, in quanto requisito necessario per poter bilanciare il diritto alla vita garantito dalla Costituzione con la libertà di autodeterminazione del soggetto. La Corte ricorda però come il paziente non debba necessariamente sottoporsi ai trattamenti di sostegno vitale, ma è sufficiente che questi siano ritenuti necessari secondo giudizio medico. Questo in quanto i trattamenti sanitari si possono rifiutare, sarebbe quindi assurdo obbligare un paziente a sottoporsi a tali trattamenti per poi poterli rifiutare in modo da poter aver accesso al suicidio assistito.
La Corte inoltre invita il Parlamento a farsi carico di una legge che promuova l’accesso alle cure palliative, sottolineando come in Italia sia carente la disponibilità di queste terapie e come vi sia carenza di personale specializzato atto a somministrarle. Assieme ai requisiti procedurali che abbiamo visto, essi creano una cintura di protezione intorno alla persona, al fine di assicurare che la scelta del suicidio assistito sia veramente una scelta libera e non frutto di una qualche pressione, sia da parte di altre persone (per i motivi più disparati) sia da parte del sistema sanitario, che non assistendo e supportando adeguatamente le persone che soffrono potrebbe spingere i più deboli a pensare che “congedarsi dalla vita” sia la scelta più comoda per non essere di peso. La Corte rinnova inoltre l’appello al legislatore affinché dia attuazione ai principi espressi nella sentenza 242 del 2019 attraverso una legge. La Corte Costituzionale non può legiferare, ciò spetta al Parlamento, ma può intervenire con le pronunce di costituzionalità, come ha fatto con le sentenze che abbiamo visto, di fatto introducendo in Italia il suicidio assistito.
La Toscana è stata la prima regione a regolare la materia, sulla base della sentenza della Corte, con la Legge 16/2025 del 14 marzo[7]. Le regioni possono fare questo sulla base del fatto che la salute è una competenza concorrente tra Stato e Regioni in base all’art. 117 della Costituzione.
Per chiudere la rassegna, l’eutanasia si ha quando è il medico a porre materialmente fine alla vita del paziente e in Italia non è legale. E legale in Belgio, Lussemburgo e Paesi Bassi. La Corte Costituzionale è stata chiamata ad intervenire per la prima volta sul tema, seppur in un caso specifico, riguardo una questione che di fatto spianerebbe la strada al primo caso di eutanasia in Italia[8]. Il caso riguarda un paziente che dispone di tutti i requisiti per accedere al suicidio assistito delineati dalla sentenza 242 del 2019, ma che per via della sua condizione non è in grado di autosomministrarsi il farmaco. A tal proposito il giudice ha sollevato la questione di legittimità costituzionale dell’art. 579 nella parte in cui non esclude la punibilità del medico che attua la volontà suicidaria del paziente avente i requisiti delineati dalla sentenza 242/2019. L’udienza è attesa per l’8 luglio.
La Corte si era già espressa sull’eutanasia nel 2022[9], quando ha dichiarato non ammissibile il referendum abrogativo dell’articolo 579 del codice penale, vale a dire l’omicidio del consenziente, «il cui esito positivo sarebbe stato quello di lasciare la vita umana in una situazione di insufficiente protezione, in contrasto con gli obblighi costituzionali e convenzionali menzionati». Il referendum avrebbe abolito l’art 579 tout court, ammettendo l’omicidio del consenziente in qualsiasi caso, senza quei prerequisiti posti a tutela della vita e che fanno in modo che la scelta di morire sia ponderata e priva di pressioni esterne di qualsiasi tipo. Sarà il legislatore a doversene occupare.
Ciò che ci si auspica, e che si auspica anche la Costituzionale (lo chiede da tempo come abbiamo visto), è che il Parlamento intervenga per regolare finalmente la materia, in modo che ogni persona possa essere libera di scegliere su come congedarsi dalla vita.
FONTI
[2] https://www.senato.it/istituzione/la-costituzione/parte-i/titolo-ii/articolo-32
[3]https://www.gazzettaufficiale.it/atto/stampa/serie_generale/originario
[4] https://www.cortecostituzionale.it/actionSchedaPronuncia.do?param_ecli=ECLI:IT:COST:2019:242
[5]https://www.cortecostituzionale.it/actionSchedaPronuncia.do?param_ecli=ECLI:IT:COST:2024:135
[6]https://www.cortecostituzionale.it/actionSchedaPronuncia.do?param_ecli=ECLI:IT:COST:2025:66
[9] https://www.cortecostituzionale.it/actionSchedaPronuncia.do?param_ecli=ECLI:IT:COST:2022:50
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