La messa a punto dei vaccini anti-covid in meno di un anno ha rappresentato sicuramente un successo straordinario. Le campagne vaccinali hanno permesso di salvare milioni di vite in tutto il mondo[1]. Dietro a questo grande successo però si nascondono profonde iniquità. In particolare ci si riferisce alla disparità nella distribuzione di questi farmaci salvavita. Per dare un’idea di quanto queste disparità siano state enormi, soprattutto nelle prime fasi della campagna vaccinale, basti pensare che alla data del 1 ottobre 2021 nei paesi ad alto reddito e nei paesi a medio reddito di fascia alta, le dosi somministrate erano più di 100 ogni 100 persone, il valore scendeva a 40 su 100 nei paesi a medio reddito di fascia bassa e 4 su 100 nei paesi a basso reddito. Un anno dopo, alla data del 1 ottobre 2022 il 77% delle persone che vivono in paesi ad alto reddito avevano completato il ciclo primario di 2 dosi, il valore scendeva al 50% nei paesi a basso e medio reddito[2].
Nel 2020 inoltre società farmaceutiche come Moderna hanno ricevuto fondi governativi mediante l’operazione che fu un vanto della prima amministrazione Trump, l’operazione Warp Speed[3]. Una collaborazione pubblico-privato proficua che ha consentito di velocizzare la messa a punto dei vaccini. Nonostante i finanziamenti ricevuti però, le compagnie farmaceutiche non sono state molto collaborative quando si è trattato di cercare una soluzione al fine di rendere i paesi più poveri autonomi nella produzione di vaccini[4]. Per fare ciò le case farmaceutiche avrebbero dovuto condividere il know how con aziende terze e questo venne visto come un rischio per la resa degli investimenti sostenuti. Questa è certamente un’obiezione degna di nota, in quanto se le case farmaceutiche dovessero temere che i propri interessi non siano tutelati, la volta successiva potrebbero voler evitare di prendersi dei rischi.
Fattostà che non si è trovato un accordo soddisfacente e i paesi a basso e medio reddito sono rimasti indietro, senza che le fasce più a rischio della popolazione potessero essere protette. Questi paesi inoltre spesso sono carenti per quanto riguarda istituzioni e strutture sanitarie, sono quindi prive della capacità di tracciare i patogeni, dei test diagnostici e delle medicine salvavita.
Questo non è solamente un discorso etico. Durante una pandemia, è importante limitare la circolazione dei patogeni in tutto il mondo, se si vogliono contenere le loro possibilità di mutazione. In paesi senza coperture vaccinali i patogeni possono trovare terreno fertile per mutare, rendersi nuovamente pericolosi e tornare nei paesi più ricchi. Affrontare le disparità è quindi nell’interesse anche dei paesi ad alto reddito. Questo discorso diventa ancora più pressante in un mondo in cui le probabilità aumentano a causa della globalizzazione e dei cambiamenti climatici.
Per questi motivi l’OMS ha istituito l’INB (l’Organo Intergovernativo di Negoziazione[5]) al fine di condurre i paesi membri dell’OMS, quasi 200 stati, al tavolo delle trattative con il fine di concludere un trattato pandemico legalmente vincolante.
Dopo 3 anni di difficili negoziati, che sembravano quasi essersi arenati, l’OMS ha annunciato il raggiungimento di un accordo il 16 aprile[6]. Si tratta di un accordo importante che predispone strumenti concreti per gestire le disparità emerse nel corso della pandemia. Tra i grandi assenti vi sono gli Stati Uniti, i quali si sono defilati dalle trattative il giorno stesso dell’insediamento di Trump. Si tratta di un’assenza pesante ed è una pecca del trattato.
I dettagli del trattato devono ancora essere divulgati, ciò avverrà alla World Health Assembly dal 19 al 27 maggio. Tuttavia, in base a quanto si conosce[7], il trattato prevede che in caso di pandemia le compagnie farmaceutiche possano avere accesso ad informazioni come sequenze genomiche e campioni del patogeno, in cambio della fornitura del 20% dei vaccini, dei farmaci e dei test diagnostici prodotti all’OMS. Questo in modo che possano essere distribuiti ai paesi più vulnerabili, vale a dire quelli a basso e medio reddito. Un passo avanti notevole rispetto alla pandemia da COVID-19.
Il trattato prevede anche che i governi possano intervenire per incentivare la condivisione di tecnologie e know how ai paesi più poveri attraverso l’apposizione di condizioni alle ricerche che vengono da essi finanziate. Le condizioni potranno includere il dover concedere l’autorizzazione alla produzione a terzi, la concessione di prezzi vantaggiosi o la pubblicazione di trial.
Nonostante gli elementi legalmente vincolanti del trattato in esso, viene ribadita la sovranità degli stati membri nella gestione delle minacce alla salute pubblica.
L’accordo verrà presentato a maggio alla World Health Assembly e se adottato richiederà la ratifica degli stati membri, un processo che potrebbe richiedere mesi.
Si tratta tuttavia di un passo avanti enorme per farsi trovare pronti di fronte alla prossima pandemia.
“Le nazioni del mondo hanno fatto la storia a Ginevra oggi” ha commentato il direttore dell’OMS il Dr Tedros Adhanom Ghebreyesus.
[1] https://www.thelancet.com/journals/laninf/article/PIIS1473-3099%2822%2900320-6/fulltext
[2] https://www.nature.com/articles/s41467-023-39098-w
[3] https://www.theguardian.com/us-news/2020/may/15/trump-coronavirus-warp-speed-vaccine-white-house
[4] https://www.nytimes.com/2021/10/09/business/moderna-covid-vaccine.html
[7] https://www.nature.com/articles/d41586-025-00839-0
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