Gli Stati Uniti rientrano finalmente nell’accordo di Parigi per il clima.
Pronti, ai posti, via. Appena insediata, la nuova amministrazione a stelle e strisce di Joe Biden ha fatto rientrare gli USA nell’accordo sul clima di Parigi. Questo è un bel cambio di passo rispetto alla precedente amministrazione di Donald Trump, che da quell’accordo aveva deciso di uscire. Per l’occasione, l’esperto di clima Ed Hawkins ha prodotto una versione speciale delle sue famose warming stripes. Nonostante quello che pensano alcuni, l’accordo di Parigi non riguarda solo i cittadini della capitale francese, ma tutti noi. Una domanda però è lecita: cos’è veramente l’accordo di Parigi?
Un passo alla volta: per cominciare, l’accordo è stato stipulato nel 2015, durante una riunione che si tiene annualmente da 25 anni a questa parte (tranne che nel tristemente noto 2020). Questo incontro si chiama COP (Conference of Parts, in italiano Conferenza delle Parti) ed è organizzata dall’UNFCCC (United Nations Framework Convention on Climate Change), vale a dire la Convenzione delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici. Questo organismo è stato fondato dal 1992 per affrontare le sfide più importanti riguardo ai cambiamenti climatici. Negli ultimi decenni, il suo scopo principale è stato quello di trovare un accordo a livello globale sulla limitazione dei gas serra, ritenuti la causa principale dell’effetto serra di origine antropica (cioè causato dalle attività umane).
Torniamo al tema principale. L’accordo di Parigi sono il prodotto finale della COP 21, tenutasi a Parigi nel dicembre 2015. Sono probabilmente il più grande successo della “diplomazia climatica” dai tempi del protocollo di Kyoto del 1997, purtroppo naufragato dopo pochi anni a causa di USA e Russia. L’accordo di Parigi contiene infatti una serie di misure senza precedenti per la lotta ai cambiamenti climatici, o almeno per mitigarne gli effetti più dannosi. Infatti, lo scopo principale dell’accordo è di limitare l’aumento della temperatura superficiale globale a meno di 2°C rispetto al periodo pre-industriale. Questa soglia di sicurezza non è stata decisa per caso, ma rappresenta un punto oltre il quale si pensa che gli effetti dei cambiamenti climatici diventino molto difficili da gestire. Di questo parleremo di nuovo più avanti.
Apriamo una piccola parentesi: cosa significa “diplomazia climatica”? La risposta sta nel meccanismo di funzionamento della COP. Essendo appunto una conferenza delle parti, non è solamente composta da scienziati, ma soprattutto dai leader politici ed economici di tutto il mondo (chiamati in gergo policy-makers), che poi devono mettere in pratica le decisioni prese durante la conferenza. Questo significa che ogni COP è una specie di partita a carte, in cui i paesi “inquinanti” (penso non ci sia bisogno di fare esempi) cercano di giocare al ribasso e salvare la faccia, mentre quelli più a rischio (come vari stati insulari) cercano di ottenere misure più stringenti. Il risultato finale a volte è ambizioso, come nel caso di Parigi 2015, altre volte è deludente, come nel caso di Madrid 2019.
All’interno dell’accordo, i paesi mettono nero su bianco le misure che intendono prendere per limitare le emissioni di gas serra, o riguardo la mitigazione dei cambiamenti climatici, o riguardo aiuti economici/tecnologici da fornire ai paesi emergenti per aiutarli a svilupparsi senza inquinare. Questi impegni vengono rivisti ogni 5 anni. Dopo, i paesi che hanno sottoscritto l’accordo devono ratificare il contenuto sotto forma di leggi nei parlamenti nazionali. Non basta quindi che l’accordo sia firmato. Ecco perché Trump aveva potuto tirar fuori gli USA a suo tempo.
Ci sono però anche dei dubbi sull’efficacia di questo tipo di accordi. Prima di tutto, l’interesse di un paese su queste iniziative può cambiare in base al governo in carica (vedere il caso Obama-Trump-Biden negli USA). Secondo, gli obiettivi nazionali vengono decisi dai singoli paesi. L’attività diplomatica serve a fare in modo che, globalmente, gli impegni nazionali servano a non far superare la fatidica soglia dei 2°C. Terzo, non ci sono sanzioni per chi non rispetta gli impegni. E’ stato fondato un organismo di controllo che verrà attivato nel 2024, a cui i stati devono fornire rapporti sui loro progressi, ma non è chiaro a cosa vadano incontro i paesi inadempienti.
La questione della soglia dei 2°C è fondamentale; cerchiamo quindi di capire da dove esce fuori. All’interno delle Nazioni Unite esiste un organismo che approfondisce gli aspetti più tecnici dei cambiamenti climatici, chiamato IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change, ovvero Gruppo Intergovernativo sui Cambiamenti Climatici). L’IPCC è la massima autorità mondiale nell’ambito dei cambiamenti climatici; riunisce tutti i massimi esperti di clima del mondo ed è divisa in tre sotto-gruppi di lavoro, ognuno dedicato a un diverso aspetto dei cambiamenti climatici (fisico, socio-economico, mitigazione). C’è di più: ogni 7 anni circa, l’IPCC pubblica un rapporto di valutazione (Assessment Reports) sullo “stato del clima”, che contiene tutta la conoscenza di cui disponiamo sui cambiamenti climatici e sui loro effetti. L’ultimo rapporto è stato pubblicato nel 2014, mentre il prossimo dovrebbe uscire l’anno prossimo. Oltre a questi rapporti, ne vengono pubblicati altri (chiamati Special Reports) su temi più specifici. Uno dei più importanti, pubblicato nel 2018, è proprio sulla soglia di temperatura che dobbiamo cercare di non superare. Il risultato? Purtroppo 2°C è perfino troppo alto, il nostro traguardo dovrebbe essere 1,5°C. Il problema è che buona parte di questo incremento di temperatura è già avvenuto negli ultimi decenni. Ritorniamo a parlare di Ed Hawkins, quello delle warming stripes. Lui partecipa ad un blog interessante, che cerca di spiegare vari aspetti dei cambiamenti climatici. Questa animazione l’hanno fatta loro, calcolando l’aumento di temperatura globale dal 1850 al 2020. Sembra veramente che sia il caso di mettersi in moto (possibilmente elettrica).
Per saperne di più:
- Appuntamento a novembre per la COP 26 di Glasgow
- Riassunto del rapporto speciale sulla soglia di 1,5°C (in inglese)
- Sito di approfondimento sul come parlare ed insegnare sul tema (in inglese)
- Misure prese dall’Unione Europea per la riduzione dei gas serra
- Dati sull’emissione di gas serra (in inglese)
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