Un pubblico non specializzato alla domanda “cos’è un OGM?” probabilmente risponderebbe che è un organismo che ha subìto una manipolazione genetica, che è stato “geneticamente modificato”. La risposta è corretta, ma solo parzialmente e pecca di imprecisione: non tutti gli organismi geneticamente modificati sono OGM!

Diversi cultivar di mais (By N2xjk – Own work, CC BY-SA 4.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=35746019)

Un classico esempio è quello del grano Creso, una varietà di frumento duro largamente diffusa in Italia (rappresenta quasi il 10% della produzione italiana), ottenuto tramite incrocio con una linea mutante indotta da radiazioni. Questa tecnica è detta di mutagenesi e comprende l’uso di agenti fisici e chimici per indurre mutazioni nel DNA della specie di interesse, al fine di migliorarne le caratteristiche. Altro esempio che forse vi sarà capitato di scorgere sugli scaffali dei supermercati è l’olio di girasole ad alto contenuto di acido oleico, più adatto per le fritture perché più simile nella composizione all’olio di oliva: anche questo è un mutante, ottenuto trattando moltissimi semi di girasole con una sostanza chimica che induce mutazioni genetiche. Non pensate che siano casi isolati: migliaia di piante ad uso alimentare sono state prodotte per mutagenesi e alcune vengono usate anche in agricoltura biologica. Non possiamo negare che queste piante siano a tutti gli effetti geneticamente modificate: ciononostante, sull’etichetta non solo non leggiamo la dicitura OGM (che è in ogni caso obbligatoria per i “veri” OGM), ma neanche quella di pianta mutante!

Dunque cosa definisce un OGM? L’importante secondo la legislazione vigente non è il “cosa” ma il “come”. Il marchio OGM viene assegnato solo a quegli organismi modificati secondo la tecnologia del “DNA ricombinante” o ingegneria genetica. In sostanza, grazie a questi metodi è possibile trasferire un singolo gene, non necessariamente di una specie diversa, nell’organismo di interesse, dopo che ne siano state studiate a fondo le caratteristiche, anche da un punto di vista tossicologico. La mutagenesi invece è un processo casuale: le quantità di semi trattati sono ingenti e bisogna solo incrociare le dita e sperare che almeno uno acquisti caratteristiche migliori rispetto alla varietà di partenza e al tempo stesso nessun danno collaterale. Ma le piante ottenute per mutagenesi, così come con tecniche ancora più moderne di manipolazione genetica, per definizione non sono OGM e possono essere vendute senza restrizioni, anzi alcune fanno persino parte della nostra tradizione. La normativa europea, così come le misure di salvaguardia nazionale, sono invece molto rigide per quanto riguarda gli OGM: in Italia ad esempio la coltivazione è proibita.

Schema della Tecnologia del DNA ricombinante (By Minestrone Soup at English Wikipedia, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=46890662)

Ad essere penalizzata dunque è la tecnologia, piuttosto che il risultato finale. Sarebbe impossibile distinguere dal punto di vista biologico una pianta mutante e una OGM. Quindi perché usare due pesi e due misure? Probabilmente le ragioni vanno ricercate nella diffidenza che una simile tecnologia, potenzialmente in grado di trasferire geni tra organismi diversi, suscita ancora oggi su un piano politico e sociale. Il problema è che la percezione negativa che circonda gli OGM, da sempre “bollati” come tali, in questo modo si auto-rinforza: sarebbe forse auspicabile una legislazione più imparziale che, una volta accertata la sicurezza per l’uomo e per l’ambiente, autorizzi i cibi modificati indipendentemente da come siano stati prodotti.

Di Erika Salvatori

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