Le nostre attuali conoscenze sull’utilizzo delle piante da parte della nostra specie durante il Paleolitico (2,5 mln – 12000 anni fa) sono documentate grazie a frammenti di piante, fitoliti e microfossili, nonché da biomarcatori ricavati da strumenti per la preparazione del cibo e dal tartaro dentale, ma sono abbastanza limitate a causa della scarsa preservazione di reperti vegetali identificabili e della mancanza di metodi adeguati per il loro rilevamento e identificazione.
Tuttavia, uno studio internazionale abbastanza recente ci mostra come, grazie all’analisi del DNA conservato nei sedimenti delle grotte (ambienti unici in cui l’effetto completo degli elementi sui materiali organici accumulati può essere mitigato), siamo ora in grado di identificare le piante anche in assenza di resti visibili, come era già stato fatto per i resti animali e umani in diversi siti di scavo.
Tutto è partito dall’analisi dell’insediamento del Paleolitico superiore (39.000 – 24.000 anni fa) nella grotta di Aghitu-3 in Armenia, dove sono stati rinvenuti manufatti di varia natura, nonché carboni e pollini, in genere molto utili per ricostruire le abitudini di chi viveva in quel sito.
È stata applicata la tecnica del metabarcoding (1) del DNA sedimentario (sedaDNA), combinata con i dati relativi al polline.
La ricostruzione temporale ottenuta evidenzia una stratificazione dell’abbondanza e della diversità vegetale in cui i dati riflettono maggiore diversità nei periodi di maggiore attività da parte dell’uomo.
Ciò si combina anche negli stessi periodi con una più bassa concentrazione pollinica, ad indicare che la presenza di vegetali in grotta durante l’occupazione era di natura intenzionale.
A riprova di questo, l’analisi del DNA delle piante presenti (identificabili con 10 famiglie, 20 generi e 6 diverse specie vegetali) mostra che erano per uso alimentare o aromatico (in totale 15 taxa di piante edibili, sette delle quali sono aromi), medico o tecnico (tintura tessuti).
Questo ci dà indicazioni non solo sull’abilità dei nostri predecessori paleolitici nel saper scegliere e distinguere le piante a loro utili, da quelle potenzialmente tossiche o non sfruttabili, ma anche dell’enorme potenziale dell’ambiente circostante la grotta.
L’analisi del sedaDNA vegetale nei sedimenti delle grotte, per la prima volta utilizzata in questo studio, rappresenta un’importante innovazione nel campo della ricerca sulle piante utilizzate dagli esseri umani preistorici e ci offre, quindi, nuove opportunità per comprendere dettagli del comportamento umano del passato, compreso l’importanza e l’utilizzo delle piante.
(1) metabarcoding= codifica del DNA che consente l’identificazione simultanea di molte specie diverse all’interno dello stesso campione. La differenza principale tra barcoding e metabarcoding è che quest’ultimo non si concentra su un organismo specifico, ma mira a determinare la composizione delle specie all’interno di un campione.
Fonte: “Sedimentary ancient DNA metabarcoding as a tool for assessing prehistoric plant use at the Upper Paleolithic cave site Aghitu-3, Armenia” Anneke T.M. ter Schure, et all, 2022, https://doi.org/10.1016/j.jhevol.2022.103258
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