La ricerca di fonti di energia pulita è una delle grandi scommesse del nostro tempo. Le conseguenze dell’uso dei combustibili fossili, prima fra tutte il cambiamento climatico, ci impongono di intraprendere strade diverse e spesso inimmaginabili fino a pochi anni fa. E come sempre quando siamo a corto di idee, ecco che la natura, con i suoi straordinari ed ingegnosi meccanismi, giunge in nostro soccorso.

Una tipica foglia, la sede della fotosintesi (By Jon Sullivan – PdPhoto, Public Domain, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=18858)
La più importante fonte di energia del nostro pianeta è il Sole, ma tra gli esseri viventi c’è chi ha imparato ad utilizzarlo molto meglio di noi. Le piante sono veri e propri campioni nella trasformazione dell’energia solare, il “motore” di un processo chiamato fotosintesi clorofilliana che converte l’anidride carbonica e l’acqua in zuccheri ed ossigeno. L’efficienza di questa trasformazione, dopo milioni di anni di evoluzione, si avvicina al 100%, mentre i nostri pannelli solari, per fare un paragone, operano con un’efficienza compresa tra il 12% e il 17%: in altri termini, la pianta trasforma quasi tutta la radiazione solare che assorbe in energia chimica, noi con le nostre tecnologie riusciamo ad utilizzarne solo una minima frazione.
Diversi gruppi di ricerca stanno studiando una strategia per ottenere elettricità dai vegetali. La corrente elettrica viene comunemente definita come un moto ordinato di cariche elettriche. Se vi state chiedendo perché cercarla proprio in una pianta, la risposta è semplice: perché è già lì! Durante le reazioni della fotosintesi le molecole d’acqua vengono “spezzate” liberando elettroni, ossia cariche negative. Questi ultimi sono trasferiti lungo una catena di trasportatori proteici e temporaneamente immagazzinati nella molecola NADP, così da essere utilizzati in una seconda fase alla sintesi del glucosio.

Schema della fotosintesi, detto “schema a Z” (By w:User:Bensaccount – http://en.wikipedia.org/wiki/Image:Z-scheme.png, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=3461098

Cloroplasti al microscopio (By Kristian Peters — Fabelfroh – Self-photographed, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=1350193)
Ciò che un team di ricercatori della University of Georgia è riuscito a fare è stato interrompere la fotosintesi e catturare questi preziosi elettroni, prima che la pianta potesse utilizzarli per generare gli zuccheri. Per raggiungere lo scopo sono stati isolati i tilacoidi, sistemi di membrane appiattite e disposte in pile all’interno degli organuli responsabili della cattura della luce e della fotosintesi, che si chiamano cloroplasti. E’ proprio qui, tra le membrane tilacoidali, che si svolge il trasporto degli elettroni, grazie ad una sequenza di proteine che sono state opportunamente manipolate per bloccare il flusso e deviarlo in strutture cilindriche 50000 volte più fini di un capello umano, i nanotubi di carbonio. Queste meraviglie della nanotecnologia funzionano come “trappole” di elettroni e li veicolano lungo i cavi elettrici.
Il sistema è ancora nelle sue fasi embrionali e l’elettricità prodotta molto modesta, ma ci sono margini di perfezionamento e l’ottimismo è tanto. Il concetto è di per sé così allettante che è stata fondata nel 2009, in Olanda, un’azienda che usa le piante per produrre energia elettrica, con un procedimento simile ma diverso. E’ stato messo a punto in questo caso un sistema per “catturare” gli elettroni prodotti dai microrganismi che consumano le sostanze di scarto della fotosintesi espulse dalle radici e liberate nel terreno, una metodologia che peraltro non danneggia o influenza in nessun modo la vita della pianta stessa. Il prossimo traguardo sarà portare questi e simili sistemi di produzione su larga scala, tale da soddisfare il fabbisogno energetico annuale medio delle famiglie o raggiungere le aree più povere del mondo.
Di Erika Salvatori
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