Negli ultimi anni abbiamo assistito a un notevole aumento di batteri resistenti agli antibiotici che ha reso inefficaci molte terapie e, di conseguenza, la cura di diverse patologie causate da infezioni batteriche. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ogni anno 700 mila persone nel mondo muoiono a causa di un’infezione dovuta a batteri resistenti agli antibiotici e di queste circa 10 mila in Italia.
Uno dei motivi principali che ha scatenato questa resistenza è l’abuso di antibiotici, infatti si pensa che potrebbe esserci un ulteriore incremento di batteri antibiotico-resistenti dovuto alla pandemia da COVID-19, per il largo utilizzo di questi farmaci durante la degenza ospedaliera.
Da qui è nata l’esigenza della ricerca di trovare nuove molecole più potenti in grado di combattere questi batteri. Una classe, ampiamente studiata e utilizzata, è rappresentata dai peptidi antimicrobici (AMPs) di cui abbiamo già parlato in questo articolo (https://www.noidiminerva.it/nuove-molecole-ad-attivita-battericida/). Molti sono stati gli studi svolti in merito, ma quelli più recenti riguardano una malattia nota: la fibrosi cistica.
La fibrosi cistica (FC) è una malattia genetica che colpisce soprattutto l’apparato respiratorio e quello digerente ed è provocata dall’alterazione di un gene che innesca la produzione eccessiva di muco. Questo muco chiude i bronchi causando infezioni respiratorie continue e ostruisce anche il pancreas, impedendo agli enzimi pancreatici di raggiungere l’intestino e di digerire i cibi.
I pazienti affetti da FC soffrono spesso di infezioni polimicrobiche generate dalla presenza di più specie batteriche nell’organismo. In particolare, sono colpiti da infezioni broncopolmonari associate a un peggioramento del quadro clinico, perché questi patogeni restano nelle vie respiratorie. Quindi, per contrastare queste infezioni si ricorre a terapie antibiotiche che hanno perso con il tempo la loro efficacia. La diminuzione dell’efficacia degli antibiotici esistenti contro i patogeni polmonari ha richiesto lo sviluppo di nuovi antimicrobici.
Ha avuto un ruolo fondamentale in questa ricerca il gallio, un elemento della tavola periodica già noto e utilizzato nel campo della biomedicina per le sue capacità antibatteriche. Il gallio è un ferro-mimetico, cioè ha un’alta affinità con il ferro che è indispensabile per la crescita e la sopravvivenza dei batteri. Sostituendolo al ferro nel terreno di coltura di questi patogeni, i ricercatori hanno osservato una inibizione della loro crescita perché il batterio non riesce a distinguere tra i due elementi.
Alcune componenti del gallio hanno dimostrato un’attività inibente specifica per determinate specie batteriche responsabili delle infezioni broncopolmonari in FC (per citarne alcune: Mycobacterium abscessus, Burkholderia cepacia, Pseudomonas aeruginosa, Staphylococcus aureus e Haemophilus influenzae.). Dal momento che ogni componente è selettiva per alcuni batteri, si presuppone che una combinazione sinergica di tutte le componenti possa essere efficace anche contro le infezioni polimicrobiche.
La FDA (Food and Drug Administration) ha già approvato negli Stati Uniti l’utilizzo del gallio per via endovenosa. Attualmente sono in corso nuovi studi, in collaborazione con Istituti di ricerca in Italia, per dimostrare anche l’efficacia della somministrazione per via aerosolica.
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