I primi tubetti di colore comparvero intorno al XVIII secolo. Prima di allora, gli artisti preparavano autonomamente i colori a loro necessari, studiando i materiali e perfezionando i procedimenti.

Nell’antico Egitto, i pigmenti erano estratti da minerali come la malachite (verde), la pirolusite (nero), la dolomite (bianco), o da terre come l’ocra (giallo e rosso). I pigmenti venivano poi amalgamati con un legante, come la chiara d’uovo o la gomma arabica.
Gli egizi non si limitarono ad estrarre ciò che trovavano in natura, ma arrivarono a produrre, più di 5000 anni fa, il primo colore artificiale conosciuto: il blu egizio!
Il blu è un colore primario nella sintesi additiva ed inoltre la cuprorivaite, un minerale della famiglia dei silicati di rame, dal quale si poteva ricavare, era scarsamente diffuso e quindi raro e prezioso.

Gli egizi scoprirono che miscelando silice (sabbia) con malachite e carbonato di calcio (calcare), e mettendo il composto in fornace, si otteneva artificialmente un materiale nuovo, di colore blu: un tetrasilicato di rame e calcio. Questo venne usato diffusamente nella pittura di affreschi, tombe, statue, ma anche come smalto.

Per gli storici dell’arte lo studio dei pigmenti usati dalle antiche civiltà è uno strumento per datare un’opera, per verificarne l’autenticità e le tecniche pittoriche; inoltre tutto ciò è utile per stabilire i trattamenti necessari per il restauro e la conservazione.

Qualche anno fa, il blu egizio ha catturato l’interesse del mondo scientifico per le sue applicazioni nell’imaging diagnostico, nei telecomandi e in inchiostri di sicurezza, come si legge in un articolo pubblicato sulla rivista scientifica Journal of the American Chemical Society.
I ricercatori hanno scoperto che il silicato di rame e calcio del pigmento egiziano si può rompere in nanofogli sottilissimi. Questi strati generano una radiazione infrarossa invisibile analoga alle caratteristiche del segnale che i dispositivi di controllo remoto, come i telecomandi per la TV o per l’apertura dell’auto, usano per comunicare con gli apparecchi che comandano. Questa scoperta apre la strada ad una nuova classe di nanomateriali.

Ecco come l’arte incontra la scienza e il passato incontra il futuro!

 

Fonti:
https://pubs.acs.org/doi/abs/10.1021/ja310587c
https://pubs.acs.org/doi/abs/10.1021/ja310587c