L’aumento della sensibilità nei confronti dell’ambiente ha contribuito nell’ultimo decennio alla diffusione del bio, ovvero di quei prodotti coltivati con metodi di agricoltura biologica che assicurano una scelta sostenibile in ambito alimentare.

Cos’è il bio? In parole povere: le pratiche biologiche vietano la coltivazione di organismi geneticamente modificati, sia per consumo diretto sia come mangime per animali, e l’uso di fertilizzanti e pesticidi di sintesi, ovvero realizzati industrialmente attraverso reazioni chimiche. Questo è un punto importante: esistono fertilizzanti e pesticidi ammessi in agricoltura biologica, ma questi non sono prodotti per sintesi chimica… pur rimanendo sostanze chimiche a tutti gli effetti.

All’interno delle coltivazioni biologiche la possibilità limitata di adoperare sostanze in grado di favorire la crescita delle colture (i fertilizzanti) o limitare la proliferazione dei parassiti (gli insetticidi) impone l’uso di tecniche manuali e attività meccaniche più laboriose e impegnative, il che giustifica anche il maggior costo dei prodotti finali.

Veniamo dunque alla domanda: i prodotti bio sono davvero più sostenibili a livello ambientale?

La risposta non è affatto semplice. La produzione di alimenti (bio e non bio, animali e vegetali) è composta da numerose fasi, ognuna con le sue peculiarità e con i suoi diversi impatti sull’ambiente: andiamo dall’area di terreno usata per le coltivazioni (superfici spesso sottratte a foresta), all’energia spesa (e relativi gas serra emessi) per le lavorazioni del terreno e per la produzione di fertilizzanti o pesticidi, all’energia per il trasporto e la lavorazione dei prodotti, allo sfruttamento e inquinamento delle acque.

 Se confrontiamo l’impatto ambientale tra produzione convenzionale (ovvero non-bio) e biologica nelle diverse fasi troviamo risultati estremamente vari, spesso condizionati dal contesto e dal tipo di coltura che si osserva.

Alcune tendenze, tuttavia, emergono chiaramente: la produttività dei campi coltivati tradizionalmente, soprattutto a cereali, è cresciuta enormemente nel corso dell’ultimo secolo grazie all’impiego di grandi quantità di fertilizzanti chimici e pesticidi. La resa a parità di terreno coltivato è dunque significativamente più elevata rispetto alle stesse colture coltivate con metodo biologico.

L’agricoltura biologica, d’altro canto, è più efficiente dal punto di vista energetico perché non fa uso di sostanze di sintesi chimica, la cui produzione ha un impatto ambientale notevole. Tuttavia su alcuni tipi di colture l’impossibilità di usare prodotti chimici di sintesi impone pratiche relativamente impattanti (ad esempio sistemi di diserbo a fiamma).

Se proviamo a considerare gli effetti inquinanti dovuti all’uso di fertilizzanti vediamo che l’uso di letame nell’agricoltura biologica al posto di altri tipi di fertilizzanti di sintesi aumenta la quantità di composti azotati nel terreno, favorendo alcuni effetti indesiderati quali l’acidificazione del terreno e la crescita smodata di alghe negli specchi d’acqua se tali composti li raggiungono (eutrofizzazione), mentre come già detto i fertilizzanti di sintesi hanno un impatto più elevato in termini di anidride carbonica.

Fin qui, bio e non-bio se la giocano abbastanza a pari merito, con pro e contro da entrambe le parti, ma possiamo cercare di valutare quali di questi effetti sia più importante considerare per la salvaguardia dell’ambiente.  Parlando della produttività abbiamo visto che a parità di prodotto si dovrà coltivare un’area di terreno molto più ampia (anche doppia se parliamo di cereali) per il bio rispetto alle coltivazioni tradizionali.

La conversione di terreno naturale in terreno agricolo è la principale causa di deforestazione. Sebbene l’agricoltura sia responsabile di un quarto della produzione di gas serra, consuma solo il 2% dell’energia usata complessivamente dalle attività umane. È evidente che se si deve scegliere quale aspetto tutelare maggiormente per ridurre l’impatto sull’ambiente ci si dovrà concentrare sulla riduzione dell’uso di terreno piuttosto che sul risparmio energetico (già molto basso), per il quale il biologico risulta migliore dell’agricoltura tradizionale. 

Raccolta del mais per la produzione di insilato.

Raccolta del mais per la produzione di insilato. Foto di Gianluca Milanesi da Unsplash.

La soluzione è quindi ridurre al minimo l’uso di terreno e concentrarsi sull’agricoltura intensiva?

Manca da considerare un altro importante aspetto, quello della biodiversità. Se l’agricoltura tradizionale intensiva si basa su monocolture e diserbanti, l’agricoltura biologica cerca un approccio più integrato, volto a creare sinergie tra terreno e varie tipologie di colture, garantendo in generale una maggiore biodiversità nei terreni coltivati. Biodiversità che comunque è ampiamente inferiore rispetto a quella presente in un ambiente naturale, quindi va comunque considerato il fatto che le coltivazioni bio impieghino molta più superficie coltivabile a parità di prodotto, e se dovessimo scegliere sarebbe a questo punto meglio favorire un’agricoltura intensiva a patto di lasciare alla natura il terreno non impiegato per le coltivazioni.

Qui la situazione diventa estremamente complessa, e non è facile stimare quale sia l’approccio giusto: di sicuro il biologico non è la soluzione ai problemi ambientali e la percezione comune in merito alla sua sostenibilità ambientale non è sostenuta da evidenze scientifiche.

Ma c’è un elefante nella stanza, di cui non abbiamo parlato e che viene raramente tirato in ballo nelle discussioni sul bio: le nostre scelte alimentari. Molto più che come viene prodotto un alimento, quello che fa la differenza sull’impatto ambientale è proprio la scelta di quali alimenti consumare, ovvero il cosa: parliamo di differenze di diversi ordini di grandezza tra alimenti diversi, che spostano completamente la discussione di sostenibilità ambientale dal concetto di bio/non bio e che alla luce di queste considerazioni appare del tutto insignificante. Ne parleremo in un altro articolo.

Fonti

Our World in Data – Is organic really better for the environment than conventional agriculture?

Gabriel, D., Sait, S. M., Kunin, W. E., & Benton, T. G. (2013). Food production vs. biodiversity: comparing organic and conventional agriculture. Journal of Applied Ecology50(2), 355-364.

Bos, J. F., de Haan, J., Sukkel, W., & Schils, R. L. (2014). Energy use and greenhouse gas emissions in organic and conventional farming systems in the Netherlands. NJAS-Wageningen Journal of Life Sciences68, 61-70.