I recenti cambiamenti climatici non hanno lo stesso impatto ovunque nel mondo. Ci sono infatti regioni che risentono maggiormente dei suoi effetti, sia dal punto di vista sociale che economico. In generale si parla di aumento delle ondate di calore, aumento del livello del mare e dell’aridità del suolo, e dell’aumento di malattie trasmissibili agli esseri umani. Tutto questo potrebbe peggiorare in futuro e gli scenari di certo non sono rosei. 

Se non stessimo parlando di riscaldamento globale, si potrebbe dire che piove sul bagnato. Gli effetti peggiori dei cambiamenti climatici si vedono infatti nei paesi in via di sviluppo [1], sia per la loro posizione geografica sia per la minor capacità di adattamento. Ciononostante, i paesi in via di sviluppo sono quelli meno responsabili della crisi climatica in corso, dato il loro modesto contributo in termini di emissioni di gas serra. Questo è indubbiamente un problema etico, legato al concetto di giustizia climatica. Le ultime conferenze mondiali sul clima hanno provato ad affrontare il problema, ma c’è molta riluttanza sul tema da parte dei paesi sviluppati [2].

Non c’è quindi da meravigliarsi se molti paesi stanno iniziando a trovare soluzioni per conto loro. Una delle iniziative più notevoli è quella della Grande Muraglia Verde. Il progetto iniziale prevedeva un “muro” di alberi lungo 8000 km per combattere la desertificazione, che si estende dall’Oceano Atlantico e all’Oceano Indiano [3]. La regione è quella del Sahel, nell’Africa subsahariana. Trovandosi stretto tra il Sahara e la savana, il Sahel è una delle regioni più a rischio per gli effetti dei cambiamenti climatici, con conseguenze anche a livello più ampio in termini di migrazioni e conflitti armati. 

Area interessata e paesi coinvolti nel progetto. Fonte: The Great Green Wall | GEF.

Naturalmente non sono mancati i problemi [4]. Primo fra tutti, i fondi stanziati non erano sufficienti a portare a termine il progetto. Secondo, i pattern di precipitazione nella regione stanno cambiando, quindi non è facile capire dove piantare gli alberi in modo da farli crescere e sopravvivere al meglio. Bisogna poi tenere conto delle attività economiche della popolazione locale, principalmente legata all’agricoltura e alla pastorizia; tutte le ricadute sociali ed economiche del progetto devono infatti essere accuratamente valutate. 

C’è stato poi un nutrito gruppo di persone che sosteneva che il progetto iniziale non stesse affrontando il problema nel modo giusto [5]. Piantare e far crescere così tanti alberi in quella regione è impossibile; le caratteristiche climatiche non lo permettono. Oltretutto molte aree sono disabitate, quindi nessuno può seguire la crescita degli alberi in modo costante. In realtà la soluzione migliore alla desertificazione era già stata trovata dagli agricoltori locali, grazie alla sapiente raccolta dell’acqua e alla conservazione della biodiversità nei loro campi. Il progetto si è quindi trasformato nel tempo da un’utopica distesa di alberi a un mosaico di pratiche virtuose di gestione della terra.

Secondo un rapporto dell’ONU del 2020, quasi 18 milioni di ettari sono stati ripristinati [6]. Si vedono anche i primi effetti positivi, soprattutto in Etiopia, Niger ed Eritrea, con un aumento della densità di vegetazione e dei raccolti agricoli, e una riduzione della degradazione del suolo. Come effetto secondario, questo ha portato anche a una riforestazione delle aree interessate. L’obiettivo per il 2030 è molto ambizioso: recuperare 100 milioni di ettari di terra degradata in tutta la regione, contribuendo così all’assorbimento di milioni di tonnellate di CO2 dall’atmosfera e assicurando cibo a milioni di persone. 

Un’iniziativa simile è stata fatta in Cina [7], dove il deserto dei Gobi sta avanzando sempre di più nel nord-ovest del paese. Iniziato nel 1978, il progetto cinese ha già piantato 66 milioni di alberi e punta ad arrivare a 88 milioni nel 2050. Tuttavia, non è facile capire se il progetto stia funzionando davvero contro la desertificazione, con molti alberi che muoiono poco tempo dopo essere stati piantati e altri che richiedono più acqua di quella disponibile. Sicuramente la frequenza delle tempeste di sabbia è diminuita in molte delle regioni interessate, ma ci vorrà tempo per vedere gli effetti a lungo termine.

Fonti:

[1] https://www.independent.co.uk/climate-change/news/climate-change-poor-countries-world-hit-hardest-affected-india-ethiopia-kenya-moody-s-a7403076.html

[2] Il fallimento della COP 26 su adattamento e giustizia climatica – Forum Disuguaglianze Diversità

[3] Un muro di 8 mila km in Africa per fermare l’avanzata del deserto: la Grande Muraglia Verde

[4] Scaling the Great Green Wall? | Independent Evaluation Group

[5] The “Great Green Wall” Didn’t Stop Desertification, but it Evolved Into Something That Might | Science| Smithsonian Magazine

[6] https://storymaps.arcgis.com/stories/2d681abc19cf43ff90514b6b1419b244

[7] China’s ‘Great Green Wall’ Fights Expanding Gobi Desert