Sottoposti a esperimenti concepiti per primati non umani, un gruppo di volontari umani ha prodotto risultati simili a quelli di tutte le altre scimmie, tranne per il fatto che la struttura sociale nell’essere umano può essere imposta per via culturale invece che essere connaturata alla specie.
Qual è l’effetto prodotto dalla struttura sociale sulla capacità di collaborare per il raggiungimento di un fine comune? Nei nostri cugini più o meno prossimi, le scimmie, sembrano esserci pochi dubbi. Una struttura sociale fortemente gerarchica disincentiva la collaborazione e induce gli individui di rango più basso a disinteressarsi delle attività che dovrebbero produrre un vantaggio per il branco nel suo insieme, come avviene nelle società fortemente gerarchizzata degli scimpanzé (Pan troglodytes). Mentre, per esempio, tra i tamarini edipo (Saguinus oedipus), scimmiette sudamericane la cui struttura sociale è basata su rapporti più sfumati, il contributo degli individui ad imprese che portano a benefici comuni è più diffuso.
E tra gli umani come funzionano le cose? Condividendo la stessa origine evolutiva, gli umani e gli altri primati dovrebbero aver ereditato un senso dell’etica simile radicato nelle strutture più profonde del cervello ereditate da antenati comuni. Per verificare questa possibilità, Katherine A. Cronin, del centro di conservazione delle grandi scimmie di Chicago (USA), ha unito un gruppo multidisciplinare di specialisti, provenienti da università statunitensi, olandesi e spagnole. Lo scopo del gruppo è stato adattare i test e le osservazioni svolti sui primati non umani, in natura o in cattività, perché potessero essere utilizzati su soggetti della nostra specie; utilizzando poi i risultati per stabilire il grado di somiglianza di primati umani e non posti nelle stesse situazioni. Al di la dei risultati specifici, l’idea di una comparazione diretta tra il comportamento dei primati umani e non, è potenzialmente così interessante che il lavoro si è guadagnato un posto sulla rivista Nature.
Nello svolgimento dell’esperimento i ricercatori hanno reclutato dei volontari che sono poi stati suddivisi in tre sottogruppi nei quali poteva essere assegnato un rango in base all’abilità nel risolvere un rompicapo, in cui i ranghi erano assegnati casualmente o in cui non esistevano ranghi.
Successivamente i partecipanti, a coppie variabili, dovevano scegliere, in una serie di sessioni di gioco, se collaborare o meno per ottenere una somma di denaro comune, sapendo però che la successiva spartizione sarebbe stata influenzata dalle differenze di rango. I partecipanti si sono dimostrati molto meno collaborativi nei gruppi dove esistevano dei ranghi, indipendentemente da come questi ranghi erano stati assegnati, rispetto al gruppo dove non c’erano differenze tra gli individui.
Anche nella fase di spartizione della vincita, in cui il gioco prevedeva o una trattativa o l’assegnazione di tutto il piatto a uno dei giocatori in base a un’estrazione a sorte con probabilità stabilite in base al rango,i giocatori del gruppo di controllo raggiungevano più facilmente un accordo rispetto a quanto avveniva negli altri due; ma stranamente il partecipante di rango più elevato tendeva a diventare più conciliante all’aumentare della differenza di rango. I ricercatori hanno ipotizzato che questo comportamento possa essere causato dalla paura che il giocatore debole, di fronte a una perdita comunque modesta, sia indotto a tentare il tutto per tutto andando all’estrazione. In alternativa gli autori hanno ipotizzato che il giocatore di rango elevato tentasse, almeno inconsciamente, di consolidare la sua posizione di potere facendosi una reputazione di “Capo Generoso” (anche se le regole del gioco, elaborate dal team sperimentale, impedivano a una coppia di giocatori di svolgere più di una sessione insieme, proprio per evitare un “effetto reputazione”).
Anche se i risultati dello studio sono ancora preliminari, sembrano essere supportati da diverse altre ricerche presenti in letteratura. La presenza tra gli autori di un economista testimonia inoltre il suo grande potenziale applicativo.
Indipendentemente dalla grande razionalità della specie umana, pare che, per determinare cosa è giusto e cosa non lo è, ci affidiamo ancora molto a un sentire non cosciente che abbiamo ereditato in comune con tutti i nostri cugini primati. [DP]
BIBLIOGRAFIA
Cronin KA, Acheson DJ, Hernández P, Sánchez A. Hierarchy is Detrimental for Human Cooperation. Sci Rep. 2015 Dec 22;5:18634. doi: 10.1038/srep18634. PubMed PMID: 26692287.
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