Nel 2014, la citizen science viene inserita tra le nuove parole del dizionario Oxford English, che la definisce come «la raccolta e l’analisi di dati relativi al mondo naturale da parte di un pubblico, che aderisce ad un progetto di collaborazione con scienziati professionisti».

In realtà si tratta di un termine coniato già nella metà degli anni Novanta da Rick Bonney (ornitologo) e da Alan Irwin (sociologo). Bonney forniva la seguente definizione di citizen science: “uno strumento attraverso cui i non esperti contribuiscono alla ricerca, e che gli scienziati possono usare per fare divulgazione”. Secondo Irwin, attraverso la citizen science i cittadini possono contribuire alla ricerca non solo raccogliendo e condividendo osservazioni e misure, ma anche facendo in modo che la ricerca si occupi dei problemi più sentiti dalla società [1].

A voler essere ancora più precisi, troviamo attività di citizen science che risalgono al 1900, con la proposta dell’ornitologo Chapman della prima Christmas Bird Count, che sostituiva la consuetudine di sfidarsi uccidendo quanti più uccelli nelle battute di caccia natalizie, con quella di contarli e censirli in base alle diverse specie, con la collaborazione dei tanti partecipanti [1].

Un esempio ancora antecedente ci porta al 1847, quando Matthew Fontaine Maury (oceanografo, astronomo, divulgatore scientifico) pubblicò la Wind and Current Chart of the North Atlantic, spedendola ai marinai di tutto il mondo, con l’invito a continuare ad annotare i dati oceanografici in un diario di bordo standardizzato da lui fornito. Il lavoro di annotazione di migliaia di marinai fu così analizzato e contribuì ad organizzare nuove carte che resero la navigazione più sicura e veloce. Matthew Fontaine Maury scrisse: “Ogni nave che attraversa i mari con queste carte e i diari a bordo, può essere considerata d’ora in poi un osservatorio galleggiante, un tempio della scienza”.

Negli ultimi decenni la citizen science è diventata una vera e propria metodologia scientifica e un potente strumento di impegno pubblico. I progetti in corso spaziano dall’astrofisica alla medicina, dalle scienze naturali alle neuroscienze. Un grande impulso è di sicuro arrivato con l’avvento dell’informatica e delle nuove tecnologie.

Secondo lo schema del 2013 di Muki Haklay (geografo), possono esserci quattro livelli di partecipazione dei cittadini ad un progetto di citizen science [2][3]:

  1. Crowdsourcing: I cittadini agiscono da “sensori”, ad esempio con un’applicazione sui propri smartphone che periodicamente manda le coordinate GPS del posto dove si trova.
  2. Distributed intelligence (intelligenza distribuita): A ciascuno verrà chiesto di avere un minimo di formazione di base per poi raccogliere dati o eseguire semplici attività di interpretazione.
  3. Participatory science (scienza partecipativa): Questo livello di partecipazione ci riporta ad Irwin: la definizione del problema è stabilita dai partecipanti, e sotto la guida di scienziati ed esperti, viene messo a punto un metodo di raccolta dei dati. Un ottimo esempio viene dalle situazioni di protesta verso gli impatti sulla salute e sull’ambiente, dove i cittadini chiedono l’aiuto degli scienziati. Spesso i partecipanti arrivano a suggerire nuove domande di ricerca che possono essere esplorate con i dati raccolti.
  4. Extreme citizen science” (scienza dei cittadini estrema): Si tratta di un’attività integrata dove, seguendo protocolli scientifici, si assecondano le motivazioni e gli interessi dei partecipanti. I partecipanti possono essere potenzialmente coinvolti nell’analisi, pubblicazione o utilizzo dei risultati. Si tratta di una “scienza dei cittadini estrema” e richiede agli scienziati di agire anche come facilitatori. Un esempio è quando un progetto scientifico si avvale della collaborazione dei “maker” (gli artigiani digitali di questo secolo) in quali sono in grado di costruire nuovi oggetti di monitoraggio e distribuzione dei dati.

C’è un grande fermento sia a livello internazionale che nazionale! Emerge l’esigenza di fare rete, di condividere esperienze e progetti cercando di far maturare la citizen science in modo da renderla un veicolo di conoscenza anche negli ambienti dove scarseggiano le risorse economiche e/o culturali[4] .

Segnaliamo l’ECSA (European Citizen Science Association) come riferimento a livello europeo. Sul sito trovate tanti spunti e progetti molto interessanti. In Italia si lavora per fondare l’associazione italiana di citizen science grazie a Citizen Science Italia (CSI). Se invece volete un esempio pratico nel nostro territorio, potete dare un’occhio a Monica, progetto di monitoraggio di ENEA.

Lo sviluppo della cittadinanza scientifica nel nostro Paese, era un tema molto caro anche a Pietro Greco (chimico, giornalista, divulgatore scientifico), a cui si deve certamente il riconoscimento di aver promosso l’idea di una “società democratica della conoscenza” facilitando il dialogo costruttivo tra tecnici, studiosi e società civile.

La citizen science piace! Piace perché permette incontri fra linguaggi diversi, perché permette di partecipare, perché permette di capire. Soltanto con la comprensione e con la partecipazione si possono abbattere certi pregiudizi, rimarginando la spaccatura tra chi fa scienza e chi non la fa.

Concludiamo canticchiando i versi di Gaber:

“La libertà non è star sopra un albero,

non è neanche il volo di un moscone;

la libertà non è uno spazio libero,

libertà è partecipazione!”

Fonti:

[1] urly.it/3hh14
[2] urly.it/3hh18
[3] urly.it/3hh13
[4] urly.it/3hg_f
Immagine in evidenza:
https://pixabay.com/it/vectors/social-media-connessioni-rete-3846597/