Una ricerca su topi modificati per manifestare una forma sperimentale di malattia di Alzheimer ha dimostrato di poter rallentare l’infiammazione del sistema nervoso associata alla malattia modificando la flora batterica presente nell’intestino degli animali.
La malattia di Alzheimer si manifesta con la formazione di aggregati di una proteina chiamata beta amiloide, chiamate placche, nel tessuto nervoso . In seguito dentro i neuroni, le cellule che scambiandosi i segnali elettrici permettono l’attività del cervello, si formano altri aggregati di proteine detti grovigli, che compromettono ulteriormente la loro funzione.
Nel cervello dei malati altre cellule, chiamate microglia, tentano di eliminare le placche “mangiandole” e “digerendole”, fagocitandole in termine tecnico; ma quando le placche sono diventate troppo grosse la microglia finisce per danneggiare i tessuti circostanti tentando di fagocitarle e, chiamando in aiuto altra microglia tramite delle sostanze chimiche, dette citochine, tramite cui esse comunicano, finiscono per produrre un’infiammazione e peggiorare il danno.
In tutti i vertebrati il sistema nervoso centrale è tenuto separato dal resto del corpo da una struttura chiamata barriera ematoencefalica che regola strettamente il passaggio di cellule e sostanze chimiche. La barriera isola le difense del cervello, costituite quasi solo dalla microglia, da quelle del resto del corpo, il sistema immunitario, ma permette il transito di alcune citochine e anche di alcune cellule difensive, i linfociti T. La microglia può quindi essere regolata dal sistema immunitario che a sua volta è fortemente regolato dalla comunità dei batteri presenti nell’intestino. Esistono varie osservazioni aneddotiche sul miglioramento del decorso della malattia di Alzheimer a seguito di variazioni della composizione della flora batterica intestinale, ma nessuno aveva mai approntato studi scientifici completi sul problema.
Myles R. Minter e colleghi, dell’Università di Chicago, in collaborazione con la Washington University School of Medicine e il Massachusetts General Hospital, hanno osservato l’effetto di un trattamento antibiotico a largo spettro su maschi di topo appartenenti a un ceppo geneticamente modificato per riprodurre le caratteristiche del morbo di Alzheimer umano.
I risultati della ricerca sono stati pubblicati su Nature Communication.
Come già rilevato da altri studi, il trattamento antibiotico ha portato a una decisa riduzione della varietà di specie microbiche presenti nell’intestino dei topi, ma non a una riduzione nella densità di popolazione dei microrganismi presenti. Nel sangue dei topi era presente una minore quantità di citochine in grado di mediare infiammazione. Alcune di queste molecole sono in grado di attraversare la barriera ematoencefalica.
Nei cervelli dei topi trattati erano presenti molte meno placche amiloidi rispetto ai topi che non avevano ricevuto il trattamento, anche se era presente una equivalente quantità di proteina amiloide in forma solubile e, purtroppo, vari studi hanno dimostrato che anche questa forma può mediare dei danni al tessuto cerebrale. La microglia presente intorno alle placche era invece molto meno attiva nell’indurre infiammazione, creando un danno più contenuto in quelle sedi.
Un dettaglio curioso è stata l’osservazione che molte delle variazioni osservate erano molto più contenute in esemplari di sesso femminile degli animali da esperimento, inducendo a pensare che gli effetti osservati siano mediati, almeno in parte, da meccanismi legati agli ormoni sessuali.
Come hanno ammesso gli stessi autori, lo studio è costituito da una pura osservazione e non avrà una grande utilità fino a quando non saranno chiariti nei dettagli i meccanismi che mediano i benefici osservati; ma prova senza ombra di dubbio lo strettissimo legame fra la flora batterica intestinale, i sistema di difesa del corpo e quello del cervello. Per un farmaco il sangue è sito di somministrazione molto più accessibile del’encefalo, e ancora di più lo è l’intestino.
BIBBLIOGRAFIA
Minter, M. R. et al. Antibiotic-induced perturbations in gut microbial diversity influences neuro-inflammation and amyloidosis in a murine model of Alzheimer’s disease. Sci. Rep. 6, 30028; doi: 10.1038/srep30028 (2016).
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