Immaginate una sconfinata distesa di ghiaccio. Liscia, abbagliante, immutabile. Succede qualcosa però. Il ghiaccio comincia a rompersi, mettendo a rischio i malcapitati protagonisti che si trovano sulla calotta.
Se avete pensato alla scena iniziale de ”L’Era Glaciale”, ci avete quasi azzeccato. Invece di un adorabile scoiattolo preistorico e la sua amata ghianda, in questo caso però il problema è il cambiamento climatico. In “L’Alba del Giorno Dopo” (2004) il protagonista è Jack Hall, uno scienziato esperto di paleo-clima (lo studio del clima passato della Terra). L’ambientazione iniziale è la piattaforma di ghiaccio Larsen C in Antartide, che è effettivamente a rischio collasso. Per esempio, nel 2016 si creò un’enorme frattura nella piattaforma, portando nel 2017 al distacco dell’iceberg A-68, grande due volte lo stato del Lussemburgo. In questo caso possiamo dire che il film è stato profetico, ma il resto purtroppo lascia parecchio a desiderare.
Immagine aerea della spaccatura formatasi nel 2016 di un grande blocco di ghiaccio della piattaforma di ghiaccio Larsen C in Antartide, staccatosi poi nel 2017. Crediti: NASA/John Sonntag.
Come molta della filmografia di Roland Emmerich (“Independence Day”, “2012”, “Moonfall”), anche “L’Alba del Giorno Dopo” parla di una catastrofe globale che si svolge davanti ai nostri occhi. La causa qui non sono alieni o antiche profezie, ma tutti noi. Le emissioni umane di gas serra stanno causando un accumulo di energia nel clima [1], aumentando la temperatura media globale, la fusione dei ghiacci e gli eventi meteorologici estremi. Il protagonista del film sa che la catastrofe è imminente e che l’umanità sta correndo un rischio enorme, ma i suoi tentativi di avvertire le autorità del pericolo vengono rispediti al mittente dalla classe politica, preoccupata più dall’economia che dalle questioni ambientali. Emblematico lo scambio tra il vice-presidente USA (“Chi pagherà il prezzo per l’azione climatica?”) e il protagonista (“Non fare niente contro il cambiamento climatico costerà molto di più che fare qualcosa”). Lo stesso copione si ripete nella realtà ogni anno alla conferenza mondiale sul clima, dove la comunità scientifica cerca di mettere in guardia sull’impatto del cambiamento climatico antropico, mentre la politica fa spallucce.
In sostanza, la parte verosimile del film finisce qui. Al posto di incendi, ondate di calore e siccità, Emmerich propone infatti uno scenario inaspettato: l’inizio di un periodo glaciale, come quello terminato circa 12000 anni fa. Nel film la corrente oceanica nord-atlantica si blocca improvvisamente a causa della fusione dei ghiacci polari, iniziando un effetto a catena che porta buona parte dell’emisfero nord ad essere coperto dai ghiacci nel giro di un paio di settimane. Il tutto preannunciato da enormi migrazioni di animali fuori stagione, chicchi di grandine abnormi in Giappone e tornado multipli in California. Come in tutti i film in cui uno scienziato viene ignorato, la situazione diventa critica. La popolazione dei paesi coinvolti non fa in tempo a mettersi al sicuro e moltissimi rimangono vittime del gelo improvviso. I paesi ricchi sono costretti a chiedere aiuto ai paesi tropicali per trovare rifugio, in un evidente contrappasso della situazione mondiale attuale. Il film si chiude poi con gli astronauti della Stazione Spaziale Internazionale che contemplano dall’alto la nuova era glaciale.
Chiariamo subito una cosa: una fase glaciale non avviene così in fretta. Il clima ha un’inerzia enorme, quindi ci vogliono migliaia di anni per passare da un periodo interglaciale (come quello attuale) a un periodo glaciale (come quello del film). Possiamo però concedere le attenuanti generiche al film per la rapidità con cui avvengono gli eventi; del resto, è impossibile realizzare un film su eventi che accadono nell’arco di migliaia di anni (a meno che non lo diriga Peter Jackson). Negli ultimi milioni di anni c’è stata un’alternanza abbastanza regolare tra periodi glaciali ed interglaciali. La causa sono i lentissimi cambiamenti nell’orbita terrestre noti come “cicli di Milanković”, rafforzati da diversi meccanismi di feedback (o “retroazione”) che amplificano il cambiamento iniziale fino a renderlo permanente. Questo è il motivo per cui i cambiamenti di temperatura media globale e concentrazione atmosferica di gas serra sono ben correlati nel tempo, perché si influenzano a vicenda [2].
Andamento della temperatura media (linea rossa) e concentrazione atmosferica di CO2 (linee blu) nella stazione EPICA in Antartide. Crediti: Skeptical Science [3].
Niente panico quindi. Per quanto importante, il collasso della corrente nord-atlantica non può causare l’inizio di un periodo glaciale [4]. Oltretutto, gli scenari attuali sul futuro cambiamento climatico prevedono un indebolimento della corrente, ma non un blocco totale [5]. Dobbiamo quindi bocciare Emmerich per essersi preso questa licenza poetica. Assurdo anche il modo in cui si svolge il film, con uragani “freddi” grandi quanto interi continenti che si formano a latitudini in cui gli uragani fisicamente non possono esistere, descritti poi usando termini che non c’entrano nulla con la meteorologia (roba tipo “L’uragano più virulento di sempre”). Un gran pasticcio, insomma.
C’è però qualcosa di molto istruttivo nel film. La velocità con cui si svolgono gli eventi non è realistica, però ricorda qualcosa di simile ai punti di non ritorno (o “tipping points”). Abbiamo detto prima che piccoli cambiamenti possono essere amplificati dai feedback climatici [6], cambiando radicalmente il clima anche in modo duraturo. Pensate di spingere un masso su per una salita. Quando arrivate in cima al pendio e iniziate la discesa, il masso inizierà a scendere sempre più velocemente a causa della forza di gravità; a quel punto il processo diventa inarrestabile finché un nuovo punto di equilibrio viene raggiunto (ossia la fine della discesa). Il clima funziona allo stesso modo: una “spinta” di troppo e ci potremmo ritrovare in un nuovo stato di equilibrio molto diverso da quello iniziale.
Quanto siamo vicini ad innescare dei punti di non ritorno climatici? C’è molta ricerca al momento su questo. Secondo l’IPCC (Gruppo Intergovernativo sui Cambiamenti Climatici, la massima autorità mondiale nel campo del clima), se l’aumento di temperatura globale rispetto al periodo pre-industriale rimane sotto 1,5°C, i punti di non ritorno dovrebbero rimanere sotto controllo (il condizionale è d’obbligo). Ci stiamo però avvicinando pericolosamente alla soglia. Il 2023 è ufficialmente l’anno più caldo mai registrato finora, con una terrificante anomalia di temperatura compresa tra 1,34°C e 1,54°C a seconda del dataset utilizzato [7]. L’immagine in basso sembra un omaggio a una famosa copertina dei Joy Division, ma non mostra nulla di gioioso. Sono dati giornalieri di temperatura globale per tutti gli anni dal 1940 al 2023; l’anomalia è calcolata rispetto al periodo 1990-2020 e mostra un chiaro aumento dei giorni più caldi della media col passare del tempo.
Distribuzione annuale dei valori giornalieri di temperatura globale secondo il dataset ERA5. In blu sono riportati i valori più bassi rispetto alla media del periodo 1990-2020, in rosso quelli più alti. Crediti: BBC [8].
Il 2023 è stato eccezionale anche a causa del Niño, un fenomeno che tende a far salire la temperatura globale e che non finirà fino a 2024 inoltrato. Con tutta probabilità quest’anno sarà quindi anch’esso da record. Tutto è perduto? Assolutamente no. Quando El Niño si esaurirà, la temperatura globale scenderà leggermente, ma non possiamo dormire sugli allori. La soglia verrà definitivamente superata prima della fine di questo decennio, a meno che non diminuiamo drasticamente le nostre emissioni di gas serra in atmosfera. Meglio smettere di spingere il masso, se non vogliamo che ci schiacci.
FONTI
[1] https://unric.org/it/cause-del-cambiamento-climatico/
[3] https://skepticalscience.com/print.php?r=33
[4] https://www.whoi.edu/oceanus/feature/are-we-heading-toward-another-little-ice-age/
[6] https://pasini-lescienze.blogautore.espresso.repubblica.it/2012/07/12/leffetto-farfalla-e-il-clima/
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